Se non cambiano le parole sulle donne
Non c’è rivoluzione senza liberazione della donna. Non c’è liberazione della donna senza rivoluzione.
Questo il motto della prima Conferenza mondiale delle donne, svoltasi a Caracas (Venezuela) dal 4 all’8 marzo 2001. Sono passati vent’anni e c’è ancora molto da fare. In un contesto, come quello che stiamo vivendo, caratterizzato da una crisi economica, politica, sociale e culturale, sono le donne a pagare il prezzo più alto.
Rispetto agli uomini, le donne sono più esposte al precariato, alle forme di lavoro atipico (come il lavoro su chiamata) e alla nuova povertà. Spesso le donne sono occupate in settori mal pagati e dove la pressione sui salari – e sulle condizioni di lavoro – sono fortissime. Questo stato di pressione permanente ha inevitabilmente delle implicazioni dirette sulla salute delle lavoratrici, costrette sovente a far quadrare dei conti che proprio non tornano.
Oggi le donne devono conquistare spazi sempre più grandi di autonomia e d’indipendenza non solo per se stesse, ma anche per contribuire a porre le basi per la costruzione di un mondo migliore, possibile e necessario, in cui ogni donna sia valorizzata per il contributo che può dare alla collettività. In cui ogni donna sia messa nella condizione di poter svolgere un lavoro, vivere una vita dignitosa, libera da tutte quelle incombenze e discriminazioni che questo sistema patriarcale scarica sulle loro spalle, dal lavoro domestico alla cura dei bambini e degli anziani, dalle discriminazioni salariali alla violenza, dalle gabbie degli stereotipi al sessismo ostentato.
E gli organi d’informazione hanno una grande responsabilità. La narrazione dei media diventa complice nel divulgare pregiudizi, nel diffondere immagini sessiste, nell’alimentare la rappresentazione della donna sessualizzata e mercificata in nome del mercato, del profitto, dell’audience, dei clic sulla tastiera. Ed è qui che prende forza il “J’accuse” non solo di molte giornaliste, ma anche di donne in carne e ossa stanche di essere un bersaglio mobile.
Programmi d’intrattenimento – compresi quelli velleitariamente intelligenti – spot pubblicitari, cartellonistica e carta stampata, propongono quotidianamente la classica e logora dicotomia: donna angelo del focolare/ donna bella e voluttuosa. In un contesto culturale dove all’immagine si attribuisce ossessivamente un’esasperata importanza, le donne vengono spinte nel ruolo di seduttrici, eternamente giovani, desiderabili. Come se gli anni che passano – e passano anche per gli uomini che si credono immarcescibili – fossero qualcosa di cui vergognarsi.
Il continuo martellamento su ormai tutti i canali di comunicazione, ha normalizzato il linguaggio sessista fino a giustificarne e a legittimarne l’uso. È la retorica del testosterone: parlare così, quindi pensare così, ti rende parte del gruppo dominante, fa di te una persona moderna e brillante. “Il sessismo attraverso la lingua – ha spiegato una filosofa italiana – penetra così tanto nel subconscio fino a scomparire come violenza, aggressione, umiliazione, disumanizzazione, quale invece è”.
Scrive la femminista Monica Lanfranco:
La sottovalutazione e il disconoscimento degli effetti e dei pericoli culturali, sociali, simbolici e pratici del sessismo non si trova solo in ambienti aggressivi, ma è sulle labbra anche di uomini distinti, o presunti tali, indipendentemente dal colore politico.
Triste, ma profondamente vero.
Il linguaggio è la prima e più potente forma d’influenza sociale: la politica ha una grande responsabilità, così come i media e le istituzioni. Il linguaggio politico e mediatico degli ultimi vent’anni mostra quanto nessuno di noi sia al riparo dall’imbarbarimento verbale. Oggi ci pare accettabile ciò che invece dovrebbe ancora indignarci. Il lento covare di un silenzioso rancore ha alimentato insofferenza, rabbia, delusione e razzismo veicolati in modo sguaiato e volgare non solo tramite mezzi di comunicazione e social network, ma anche attraverso la minuta quotidianità.
La rete nateil14giugno propone un ciclo di conferenze proprio su questo tema. Un’occasione necessaria per riflettere sul potere delle parole e il loro impatto sulle nostre vite.
di Françoise Gehring
pubblicato il 24 marzo 2020 su Naufraghi/e